E allora ho pianto, pianto tantissimo con lacrime enormi e calde e vive. Come me. Come me che ero ancora viva e ancora non ci potevo credere. Ho pianto le lacrime che non ho pianto nei sei mesi prima perché prima non sarebbero servite a niente invece adesso sì, adesso servivano a lavare via tutto quel buio e le paure e il male e la debolezza che ho provato a cacciar via con i sorrisi, il coraggio e un po’ d’incoscienza. Ho pianto sui miei capelli, le mie ciglia, le mie sopracciglia; su quelli persi e su quelli nuovi. Ho pianto sui miei chili e la mia forma che piano piano sto ritrovando. Ho pianto sulle mie nuove prospettive. Ho pianto su quella che ero prima e che sono adesso; mi assomiglio ancora molto ma a guardarmi bene sono anche tanto diversa.
Ho pianto mentre sorridevo. Un po’ perché sorrido sempre e un po’ perché un grazie enorme cominciava a frullarmi in testa mentre pensavo alle ragazze portentose che ho conosciuto in reparto, alle mie dottoresse, ai miei dottori, alle infermiere e agli infermieri, ai libri che ho letto e a quelli che ho colorato, ai miei insuperabili amici, alla mia famiglia, a papà, al mio Davide e alla mia incredibile Viola
Ho pianto pensando “e adesso?”
E adesso bisogna provare a vivere.
P.S. Perdonate il titolo demenziale di questo post, non c’entra niente con i figli dei fiori ma riflette il modo in cui ho affrontato e a quanto pare, sconfitto la malattia. Prendendomi e prendendola in giro. E poi “capellona” è il nomignolo affettuoso che ci diamo la mia compagna di stanza Paola ed io e possiamo assicurarvi che solo chi, come noi, ha provato a perdere i capelli può capire quanto sia serio un soprannome scemo come “capellona”.